Dopo lunghe settimane di duro lavoro - per carità, vietato lamentarsi con i tempi che corrono... - finalmente ho calcato di nuovo scarponi, ciaspole e ramponi sulla terra, sulla neve e sul ghiaccio dei nostri monti appenninici.
L'ho fatto in qualità di aiuto-accompagnatore al corso di escursionismo invernale 2012 del CAI Bologna, organizzato e guidato come sempre egregiamente dall'AE/AEI Mauro Pini.
Con Mauro, altri 4 accompagnatori (Claudio, Giuseppe, Emilio, Mauro V.) e 18 corsisti siamo partiti alle 5:30 dal parcheggio del Centro Borgo.
Nonostante l'orario antelucano, il parcheggio era animato da un'insolita attività: infatti il Centro Borgo è punto di ritrovo ben noto al CAI Bologna e agli escursionisti in genere. Abbiamo quindi condiviso i preparativi con un gruppo di sci-alpinisti in partenza per l'Alto Adige, più esattamente per la superba Val Passiria.
Partiti adunque da Bologna alle "zenq e mez d'la mateina", ci siamo incamminati - o per meglio dire "inmacchinati"... - in direzione dell'Alto Reggiano: meta il Casarola (1978 metri s.l.m.), che definire anticima dell'Alpe di Succiso (2017 m) è forse un poco riduttivo, visto che dalla Valle del Secchia è proprio il Casarola, e non la più alta Alpe, a "metterci la faccia" e mostrarsi in tutta la sua regolare imponenza a chi arriva percorrendo la strada statale 63 del Passo del Cerreto.
Prima però di presentarci al cospetto dei Giganti dell'Alto Reggiano, abbiamo pensato bene (anzi, benissimo!) di ristorarci a un ottimo baretto in località La Vecchia di Vezzano sul Crostolo, dove un simpatico barista alla Peppone (con tanto di baffi inclusi) ci ha rimpinzato a dovere a suon di cappuccini e paste.
Poi, dopo le solite interminabili curve e controcurve della SS 63 - allietate se non altro in sequenza dalle vedute mozzafiato della Pietra di Bismantova, del grande groppone bianco del Cusna e dei pendii aspri e poco innevati di Cavalbianco e Nuda del Cerreto - eccoci finalmente ai piedi di sua maestà il Casarola.
E qui le prime perplessità: vedendo i dirupati fianchi del grande monte spogli di neve, con solo i profondi canaloni che ancora custodivano il bianco elemento, ad alcuni accompagnatori - incluso il sottoscritto - è venuto il dubbio di poter lasciare le ciaspole nei bagagliai e portare unicamente ramponi e piccozza (gli strumenti che dovevano essere il tema della giornata). Bene ha fatto il "capo" Mauro a rigettare l'opzione, decidendo che era meglio non rischiare e portare tutta l'attrezzatura con sè.
Lasciate le auto nei pressi del bivio per Cerreto Alpi, a circa 900 metri sul livello del mare, abbiamo imboccato il sentiero CAI n. 651. Procedendo ottimamente allineati e coperti come un plotone militare, abbiamo rapidamente colmato il primo dislivello di circa 450 metri che ci separava dalle piane di Capiola, salendo con decisione nella faggeta senza neve e a tratti quasi rinsecchita - a testimonianza di come bastino pochi giorni di sole caldo e vento primaverile a sciogliere la tanta neve caduta in precedenza.
Eppure avvicinandosi a Capiola abbiamo capito come non tutto fosse scontato: bastava un lieve raddolcimento del ripido pendio, con una piccola variazione di esposizione, per regalarci le prime chiazze di neve, molle e fradicia, ma a tratti già abbondante.
Giunti a Capiola, ecco le faggete mutarsi in rade boscaglie e praterie, già ricoperte da una spessa coltre bianca, che ci ha quasi subito indotto a calzare le ciaspole. E meno male che le avevamo portate, dato che a tratti già si sprofondava vistosamente. In breve, siamo usciti nell'ampia radura ai piedi del Casarola e il panorama si è aperto in tutte le direzioni, con l'elegante Monte Ventasso alle nostre spalle ad impreziosire le vedute.
E qui un secondo dubbio ci si è posto, dato che per la salita le alternative erano due. La prima: salire a sinistra lungo il sentiero CAI 651 per la dorsale detta "Costa della Brancia" - di primo acchito più ripida e meno innevata. La seconda: seguitare a destra in piano e poco prima della località detta "la Fracassata" (nomen omen) prendere il sentiero CAI 657 risalendo la Costa del Mainasco, apparentemente più blanda.
Ancora una volta abbiamo rigettato le apparenze, guardato bene la carta e dato retta a Mauro, scegliendo la seconda ipotesi. Decisione saggia, dato che durante la salita la fronteggiante Costa del Mainasco ci si è mostrata ben più ripida di quanto visibile dal basso, e abbondantemente innevata nella parte superiore.
Con ottimo passo e gioco di squadra, alternando i battistrada, abbiamo proseguito con relativa rapidità sulla neve via via più profonda, risalendo la ripida faggeta solcata a tratti da profondi ed insidiosi canali di scarico delle valanghe.
Quindi abbiamo rimontato la lunga e ripida dorsale che doveva condurci in vetta al Casarola, libera quasi ovunque da neve, ma spazzata da un forte vento, con raffiche che a tratti ci spostavano di peso.
Poi finalmente l'estasi della vetta e del panorama mozzafiato a 360°, dominato dalla vicina e imponente Alpe di Succiso, con i suoi profondi canaloni ingombri di neve e ghiaccio, e le dorsali spazzate dal vento.
Un'ispezione della parte alta della Costa del Mainasco ha confermato la bontà della scelta della salita e consigliato di scendere per la stessa via.
Ancora spazzati dal vento, ci siamo messi in fila lungo la dorsale e ci siamo beati della vista senza confini su Cusna, Prado, Nuda, Cavalbianco, Ventasso e Monte Alto, quest'ultimo proteso a custodire quasi gelosamente come un bianco tesoro ai suoi piedi la conca delle sorgenti del Secchia.
Di nuovo nel bosco per fare ancora pratica con le ciaspole sul ripido pendio abbondantemente innevato, con la neve che oltretutto - visto che oramai il sole stava calando - aveva assunto una consistenza dura e granulosa con croste portanti, ben diversa da quella della salita.
La discesa nella faggeta è stata come al solito rilassante, ma bene ha fatto Mauro a richiamarci all'attenzione e ad evitare di abbandonarci alle chiacchiere: gli scivoloni nell'ultima parte delle discese hanno provocato ben più di un incidente a escursionisti che avevano ormai tirato i remi in barca...
Tutti sulle auto, allora, a caccia di una birra, un panino, un erbazzone o qualunque altro cibo solido o liquido potesse placare fame e sete.
Ma cibo e ristoro sembrano quasi introvabili nell'alto Reggiano: di certo sono ben più rari delle forti emozioni che la natura dispensa a piene mani...
Giovanni Mazzanti
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