Tra le cose che rendono unico il nostro alto Appennino c’è il fatto che i suoi crinali erbosi e rocciosi, che ora ci appaiono spogli e deserti, sono stati testimoni di innumerevoli vicende storiche. Tra queste, l’epopea dei cacciatori del Mesolitico, periodo storico che va all’incirca dal 10.000 a.C al 4500 a.C. e si colloca tra Paleolitico e Neolitico (vedi libro Quota 2000, Cap. 1, pag. 29).
Questi nostri lontani avi risalivano le valli e le dorsali dei monti da ambo i lati dello spartiacque tra Tirreno e Adriatico, seguendo le migrazioni della selvaggina - in particolar modo dei grandi ungulati - per cacciarli, cibarsi della loro carne e vestirsi con le loro pelli. Per questo si spingevano fino al crinale principale. Qui, nei pressi dei valichi e in vicinanza di specchi d’acqua trovavano i loro appostamenti ideali di caccia e le stazioni ove scuoiare e macellare la selvaggina. Portavano con sé noduli di selce e di diaspro -pietre dure introvabili sul Grande Crinale, ma che scovavano in cave apposite verso il piano - e li lavoravano in loco secondo le loro esigenze, per ricavarne raschiatoi, pugnali, punte di frecce o lance, attrezzi vari.E con molta pazienza, perizia e… fortuna, gli scarti delle “lavorazioni mesolitiche” si possono ritrovare ancora oggi sugli alti crinali: sono i cosiddetti “microliti” – letteralmente piccole pietre – cioè minuscole schegge di selce o diaspro che, essendo totalmente alloctone rispetto alle pietre locali, provano che un dato sito era effettivamente un luogo di lavorazione frequentato migliaia e migliaia di anni fa dai nostri antenati.
Affascinato da queste suggestioni, anch’io mi sono messo sulle tracce dei nostri avi del Mesolitico e in qualità di membro del Comitato Scientifico Regionale mi sono unito alle ricerche guidate dal Presidente del Comitato Giuliano Cervi.
Verso la fine del mese di luglio scorso, insieme a Gianni Riccò, Presidente del CAI di Reggio Emilia, e a Paolo …, anch’egli membro del Comitato Scientifico Regionale, abbiamo setacciato il lungo tratto di crinale che va dal Passo delle Radici a Monte Giovo. E qui abbiamo trovato un sito mesolitico – anche se sarebbe meglio dire “ritrovato”, visto che Giuliano ci si era imbattuto per caso in mezzo alla nebbia alcuni anni prima, senza più identificarlo.
Verso la fine del mese di luglio scorso, insieme a Gianni Riccò, Presidente del CAI di Reggio Emilia, e a Paolo …, anch’egli membro del Comitato Scientifico Regionale, abbiamo setacciato il lungo tratto di crinale che va dal Passo delle Radici a Monte Giovo. E qui abbiamo trovato un sito mesolitico – anche se sarebbe meglio dire “ritrovato”, visto che Giuliano ci si era imbattuto per caso in mezzo alla nebbia alcuni anni prima, senza più identificarlo.
Dopo alcune ore di inutile peregrinare tra le basse faggete e lungo i dossi erbosi del crinale, Giuliano ha riconosciuto la posizione del sito: allora, di buona lena ci siamo messi tutti quanti a battere a tappeto la zona seguendo le sue indicazioni. Ma è stato ancora una volta l’occhio esperto di Giuliano a scovare il primo microlito, al quale è seguito ben presto un secondo, e poi un terzo.
Abbiamo così trovato in tutto undici frammenti di selce e diaspro: non un'enormità, certo, ma quanto basta per catalogare ufficialmente il ritrovamento come “nuovo sito mesolitico”.
Abbiamo così trovato in tutto undici frammenti di selce e diaspro: non un'enormità, certo, ma quanto basta per catalogare ufficialmente il ritrovamento come “nuovo sito mesolitico”.
Dopo avere fotografato i microliti in loco e georeferenziato la posizione esatta mediante GPS, siamo tornati sui nostri passi.
Avevamo ancora negli occhi i panorami sconfinati degli alti crinali, le chiome frondose dei faggi, l’erba alta delle grandi praterie mossa dal vento del crinale. E nel cuore gli “echi di pietra” dei nostri antenati.
Avevamo ancora negli occhi i panorami sconfinati degli alti crinali, le chiome frondose dei faggi, l’erba alta delle grandi praterie mossa dal vento del crinale. E nel cuore gli “echi di pietra” dei nostri antenati.
Giovanni Mazzanti
Nessun commento:
Posta un commento