Continuo nell'arduo tentativo di recuperare il tempo perduto e rivangare i tanti bei momenti vissuti la scorsa primavera-estate in compagnia tra i monti!
Proseguo dunque ancora con le Alpi Apuane e l'anello Resceto (482 m) - Via Vandelli - Rifugio Nello Conti (1442 m) - Tambura (1890 m) - Passo Foco
laccia (1645 m) - Resceto portato a termine insieme a Sara Frabetti, Pamela Ferrari e Mauro Pini il 3-4 luglio 2014: una piccola ma combattiva delegazione del CAI B
ologna in trasferta nel territorio del CAI di Massa.
Partenza da una calda e afosa Bologna alle 16:30 del pomeriggio del 3 luglio: il ritrovo è presso l'Antistadio e qui Gio - il sottoscritto - e Pami, con i loro pesanti zaini, rischiano subito di farsi stirare dalle auto alla mini-rotonda all'angolo con Via dello Sport...
Dopo due ore e mezza di viaggio reso piacevole dalle chiacchiere e dalla buona musica dello stereo di Mauro - con Pink Floyd e Vasco a farla da padrone - arriviamo sulla verde costa Versiliese in quel di Massa e risaliamo la boscosissima ed angusta valle che si insinua tra le propaggini dei Monti Alto di Sella e Tambura salendo verso il piccolo borgo di Resceto. Le Apuane incombono su di noi severe e imperiose, quasi a ricordarci che sì, abbiamo deciso di sfidarle con questa inusuale salita serale ma ... ce la dovremo sudare tutta.
E in effetti non fa una grinza: l'umidità che avevamo lasciato a Bologna è poca cosa rispetto alla pesantissima umidità che troviamo nello stretto fondovalle, percorso da un torrente dalle acque verdissime e trasparenti che spumeggia ansioso di ricongiungersi al mare - questa è un po' da romanzo d'Appendice, ma non la cancello...
Lasciata l'auto in una piazzetta quieta e panoramica sulla quale si affacciano le ultime case di Resceto Alta, ci incamminiamo senza indugio lungo la Via Vandelli: sono le 19:30 e se vogliamo arrivare al Rifugio Nello Conti in tempo per una pasta "last minute" non abbiamo un attimo da perdere. E nonostante l'afa e il viaggio, saliamo decisi e maciniamo strada.
L'asfalto finisce quasi subito, lasciando il posto prima a uno sterrato, quindi all'antico e regolarissimo selciato della settecentesca Via Vandelli (http://it.wikipedia.org/wiki/Via_Vandelli): un'opera di alta ingegneria per quei tempi, realizzata a cura dell'abate e ingegnere modenese per suggellare il matrimonio tra Ercole d'Este - figlio di Francesco III Duca di Modena - e la Principessa Maria Teresa Cybo-Malaspina, ultimo virgulto della nobile casata decaduta dei Malaspina (il cui castello si erge ancora orgoglioso e austero nella non lontana Fosdinovo, al confine tra Versilia e Lunigiana).
E anche il panorama cambia quasi subito: il bosco lascia il posto a ripidissimi prati frammisti a pietre che ricoprono gli scoscesi e dirupati versanti che precipitano a valle dai gioghi apuani, con rade macchie di faggio qua e là.
Il luogo è assai suggestivo. Il silenzio magico è rotto - oltre che dal ronzio delle mosche... - da uno scampanio e da un movimento inatteso:
un grosso gregge di capre scende rapido dai monti snodandosi lungo una traccia invisibile sul versante opposto della valle, guidato dai fischi acuti del giovane pastore e dall'instancabile correre e rincorrere di un piccolo e attivissimo cane pastore, che stana e convince anche gli esemplari più irriducibili a tornare all'ovile.
Così com'è arrivato, quasi per magia il gregge scompare e il silenzio (e l'afa...) ritornano a dominare la scena.
E noi continuamo imperterriti a salire lungo le ripide e costanti rampe della Via Vandelli, guadagnando rapidamente terreno. In un'ora e mezza siamo già al "Casone" - 1145 metri sul livello del mare - una piccola e graziosa capanna-riparo di pietre a vista e travi di legno, dove ci concediamo una breve pausa, un sorso d'acqua e una prima foto quasi di gruppo.
Proseguiamo senza indugio mentre il sole si nasconde dietro gli aspri dirupi delle Apuane e le prime ombre della sera calano sulla vallata.
Mano a mano che guadagniamo quota, l'afa cala e dalle alte giogaie che ancora ci sovrastano ecco finalmente le prime raffiche di vento, a rendere la salita più piacevole.
In lontananza verso il mare si staglia ben visibile - nonostante la foschia - la linea costiera, che disegna i familiari contorni della riviera toscano-ligure: da Massa e Carrara a La Spezia, con la Foce del Magra, il promontorio di Montemarcello, il Golfo di Lerici, la penisola di Portovenere e le isole di Palmaria, Tino e Tinetto.
Ancora un ultimo sforzo ed ecco - rannicchiata ai piedi del Monte Alto di Sella e quasi nascosto tra le aguzze sagome rocciose dei Campaniletti - la rossa costruzione del Rifugio Nello Conti (http://www.ilbivacco-toscana.it/rifugio_nelloconti).
Sono le dieci, il che significa che abbiamo coperto i quasi 1000 metri di dislivello da Resceto al Rifugio in due ore e mezza: davvero niente male, anche perché lo zaino è quello da due giorni di escursione con pernotto! E le "girls" si sono difese alla grande: altro che sesso debole...
Ci asciughiamo il sudore guardando le luci di Massa che si accendono verso il mare e annegano nel buio della notte, e la falce della luna che si staglia nel cielo limpido, senza nuvole.
Poi con entusiasmo - e con una fame da lupi! - ci sediamo a tavola. Il giovane e bravo rifugista ci ha preparato delle favolose penne al pomodoro e alla santoreggia delle Alpi Apuane: una profumata erba officinale, il cui nome a torto evoca effluvi di ben altro tipo rispetto al suo odore intenso e piacevole... L'abbondante vino rosso rende la cena ancor più gustosa e allegra.
Un buon sonno ristoratore e l'indomani sveglia di buon mattino.
Purtroppo il tempo è decisamente più cupo e grigio del giorno precedente: il sole fatica a farsi strada tra le nubi basse, e un vento teso spira da Ovest, dal mare.
Ci incamminiamo lungo il ripido sentiero che risale verso la Focetta dell'Acqua Fredda, tra prati stentati, rocce grigie e i manufatti residui dell'attività estrattiva del marmo, che qui in Apuane segna pesantemente il paesaggio.
Superato agevolmente qualche facile tratto attrezzato giungiamo alla Focetta (1575 m circa), da dove la vista si apre anche sul versante Garfagnino e sulla linea ondivaga dell'Alto Appennino Tosco-Emiliano.
Volgiamo le spalle al severo profilo roccioso del Monte Alto di Sella (1725 m) e aggirando il Monte Focoletta (1678 m) ci dirigiamo verso il Passo Tambura (1634 m). Giunti senza problemi al Passo, ecco che di fronte a noi appare il Monte Tambura (1890 m), sempre più vicino passo dopo passo.
In breve, muovendoci lungo l'aereo ed assai panoramico filo della cresta Sud - in vista costante del versante Garfagnino e di quello Versiliese - siamo in vetta alla Tambura, spazzata dal vento e da qualche goccia di pioggia.
Un breve spuntino e uno sguardo un tantino preoccupato alle nubi nere che avanzano verso di noi dal mare: il tempo è decisamente peggiore delle "innocue velature" garantite dalle previsioni meteo...
Senza indugio scendiamo lungo la cresta Nord-Ovest della Tambura, sempre assai panoramica, in direzione del Passo della Focolaccia (1645 m). Davanti a noi la scena è dominata dalle sagome imponenti del Monte Pisanino (1946 m) a destra e del Monte Cavallo (1890 m) di fronte. Al Passo sale ripida dal versante Garfagnino la strada marmifera che conduce alle cave della Focolaccia, per poi scendere precipite nel versante Versiliese.
Giunti al Passo - pesantemente segnato dalle strutture e dalle cicatrici dell'attività estrattiva del marmo - si mette a piovere di stravento. Allora, zigzagando al piccolo trotto tra blocchi di marmo bianchissimo che contrastano con il nero delle nubi, guadagnamo il vicino Bivacco Aronte, che capita proprio a fagiuolo, offrendoci un riparo dalla pioggia e un posto tranquillo per il pranzo.
Dopo il pranzo, neanche a farlo apposta la pioggia cessa. Ne approfittiamo per ispezionare il tratto iniziale del sentiero CAI 167 che - secondo il progetto originario - doveva portarci per la discesa in un nuovo versante, quello della "Valle degli Alberghi": giunti alla sella che domina la valle scartiamo però senz'altro questa opzione, perché la pioggia ha reso assai infidi i ripidi versanti erbosi lungo i quali scende il sentiero 167.
Scegliamo allora la "marmifera" che scende tortuosamente ma più direttamente verso Resceto. E qui poco ci manca che lasciamo questa valle di lacrime travolti da giganteschi blocchi di marmo che una ruspa fa rotolare a valle tagliando i tornanti della strada senza troppo preoccuparsi - forse anche per il tempo pessimo - degli eventuali escursionisti...
Restiamo lievemente basiti...
E decidiamo quindi per prudenza di abbandonare anche la marmifera e di scendere a rotta di collo lungo il sentiero CAI 166, la via più diretta per Resceto, anche perché nel frattempo il meteo è decisamente migliorato: il sole torna a far capolino e l'erba si asciuga rapidamente.
Il sentiero 166 scende a valle con andamento quasi precipite, ora su lastroni lisci di marmo grigio e bianco, ora tra pietraie e prati scoscesi. Ripercorre in parte le cosiddette "Vie di Lizza" lungo le quali i cavatori facevano scivolare i giganteschi blocchi di marmo verso valle, quando ancora i mezzi meccanici erano di là da venire.
Mano a mano che si scende il sole fa la voce grossa, e l'afa e il caldo tornano a farsi sentire.
Dobbiamo procedere con attenzione, perché il sentiero - sempre regolarmente segnato - è però un'esile traccia che ci dobbiamo quasi inventare tra prati pensili, lastroni e pietraie.
In breve il caldo diventa opprimente, ma in base alle previdenti indicazioni di Mauro abbiamo ancora scorte abbondanti di acqua, e di tanto in tanto ci concediamo una sorsata abbondante quanto rigenerante.
E finalmente giungiamo sul fondovalle, in vista del serpente pietroso della Via Vandelli, e il sottoscritto pensa bene - forse perché stranito dal caldo - di mettersi nei guai in "zona Cesarini" lasciando il sentiero segnato per una breve quanto ripida scorciatoia verso lo sterrato ormai vicino: allo sterrato ci arrivo, sì, ma franando a valle e dando modo al duro calcare Apuano di lasciarmi un marchio indelebile sul braccio nudo, che prende a sanguinare copiosamente... Ecco un altro uso assai utile dell'acqua rimasta: lavare la ferita...
Siamo tutti piuttosto cotti, ma con un ultimo sforzo percorriamo lo sterrato finale che ci riporta a Resceto.
E' il primo pomeriggio e ora il sole beffardamente - e quasi prendendoci in giro dopo la pioggia sferzante del Passo della Focolaccia - è tornato a picchiare come un fabbro.
Ci ricomponiamo e scendiamo fino a Guadine, dove ci concediamo un mega-panino al prosciutto e formaggio innaffiato da una bella birra fredda gelata.
E poi via, giù verso Massa, e poi in autostrada.
Prima di quanto ci aspettiamo, siamo già a casa...
Giovanni Mazzanti
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